Processo Smog, il commento di Roberto Mezzalama, presidente del Comitato Torino Respira
Giovedì 4 luglio 2024, nel pomeriggio, il giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino ha deciso di prosciogliere sette amministratori locali di Torino, senza passare per il processo, dall’accusa di inquinamento ambientale colposo. Si tratta di una decisione presa in un procedimento a suo modo “storico” dove per la prima volta in Italia una Procura della Repubblica ha rinviato a giudizio degli amministratori pubblici per non avere agito in modo efficace per assicurare il rispetto della normativa sulla qualità dell’aria, in una delle città più inquinate d’Italia e d’Europa.
È una decisione arrivata dopo sette anni di indagini, grazie ad una procedura introdotta dalla cosiddetta “riforma Cartabia” che ha messo un ulteriore filtro sulla strada dei processi penali, filtro basato sulla valutazione della probabilità che il processo si possa tradurre o meno in una condanna.
Ci sono vari aspetti di questa vicenda che vale la pena di sottolineare. Guardando al procedimento, il primo riguarda il tempo trascorso tra il deposito dell’esposto, avvenuto nell’aprile del 2017, e la decisione definitiva, che si è avuta solo dopo più di sette anni. In questo frattempo, se i calcoli degli epidemiologi sono giusti, solo a Torino città ci sono state migliaia di morti premature per lo smog, una cifra spaventosa che anche grazie a questa decisione continuerà ad aumentare.
Il secondo è il fatto che un giudice monocratico ha avuto la possibilità di privare la città e l’Italia intera di un dibattimento approfondito, che avrebbe potuto affrontare questioni tecniche e giuridiche complesse, ma estremamente rilevanti per la gestione di questo problema. Le questioni complesse caratterizzano tutti i processi contro i cosiddetti “colletti bianchi” e quindi, se vengono liquidate in modo superficiale come in questo caso, aumentano notevolmente il rischio di una loro impunità.
Sul piano politico è stato interessante ascoltare le motivazioni con le quali gli avvocati hanno difeso gli imputati nell’udienza predibattimentale, dicendo cose tristemente già sentite.
La prima è una generale ammissione di impotenza (che cosa poteva mai fare!), che stride assai con la sicumera con la quale in genere i Sindaci e i Presidenti delle Giunte Regionali si presentano durante i loro mandati, i secondi facendosi addirittura chiamare “governatori”. Viene da chiedersi come mai tutti smaniano di acquisire nuove competenze se alla prima occasione ammettono di non riuscire ad affrontare nemmeno i problemi che avrebbero dovuto risolvere 15 anni fa.
La seconda è la tiritera del “non ci sono i soldi”. Peccato che, solo per fare un esempio, a Torino si stia aprendo un cantiere da 12 milioni di euro per rifare Via Roma, una strada in perfette condizioni, e che i soldi del PNRR non si siano utilizzati affatto per la soluzione del problema dello smog e quindi nemmeno per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.
La terza, forse ancora più grave, è la lunga litania di “cose fatte” che abbiamo dovuto sentire, senza che per nessuna di queste si siano presentati dei risultati in termini di riduzione delle emissioni, in qualche modo misurabili. Nella lista poi, al grido di “tutto fa brodo” sono finite cose che con la riduzione dello smog non c’entravano niente, dalla resilienza climatica al piano del verde pubblico (ovviamente mai realizzato).
Ieri abbiamo perso una battaglia, o meglio il suo primo tempo, perché vogliamo credere che la Procura della Repubblica faccia appello contro questa decisione, non appena saranno note le sue motivazioni. Nella sconfitta però abbiamo imparato alcune cose che ci saranno utili in futuro. Perché una cosa è certa: non abbiamo nessuna intenzione di smettere di lottare.