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Terra dei fuochi: quali effetti nell’ordinamento interno?

Pubblichiamo l’approfondimento scritto dall’avvocato Marino Careglio, consulente legale di Torino Respira, su La voce dell’Agorà, notiziario di informazione giuridica locale.

 

La Corte europea condanna l’Italia per inquinamento ambientale nella “Terra dei fuochi”: quali possibili effetti nell’ordinamento interno?

Di Marino Careglio

Con la sentenza Canavacciuolo e a. del 30 gennaio 2025, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 2 Cedu (che protegge il diritto alla vita), in ragione dell’omessa adozione di misure sistematiche e coordinate idonee a fronteggiare la grave situazione di inquinamento ambientale che affligge da tempo una vasta aerea della Campania, nota come Terra dei Fuochi.

L’inquinamento provocato da un sistema illecito di raccolta, abbandono, seppellimento e combustione di rifiuti, anche pericolosi, ha provocato un aumento di patologie di varia natura tra gli abitanti delle aree contaminate (l’espressione Terra dei Fuochi apparve per la prima volta nel 2003, quando fu usata nel Rapporto Ecomafie di Legambiente), compromettendo il loro diritto alla vita, secondo quanto affermato dai giudici di Strasburgo.

In particolare, con riguardo a sette persone affette da disturbi respiratori o patologie oncologiche, la Corte ha rilevato la violazione dell’art. 2 Cedu e condannato il nostro Paese all’adozione di misure a tutela dell’ambiente e della salute, tra cui un meccanismo indipendente di monitoraggio della situazione e delle misure introdotte e una piattaforma informativa, comprensibile e accessibile al pubblico, che contenga tutte le informazioni rilevanti. 

In ragione del carattere diffuso e sistematico delle violazioni accertate, la Corte Edu ha adottato la cd. procedura della sentenza pilota (art. 61 regolamento della Corte), assegnando due anni di tempo all’Italia per adempiere alle misure riparatorie previste, in attesa delle quali è stato rinviato l’esame di numerosi ricorsi pendenti di analogo contenuto.

La sentenza Canavacciuolo è destinata a segnare “una nuova e importante tappa nell’evoluzione del contenzioso sulla tutela dei diritti umani rispetto alle minacce provenienti dall’inquinamento, dal degrado ambientale e dai cambiamenti climatici” (così S. Zirulia, su www.sistemapenale.it). Sinora la Corte Edu era  solita esaminare i casi di inquinamento ambientale con la lente dell’art. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), affermando che la compromissione di aria, acqua e/o suolo pregiudicasse la possibilità di godere in maniera piena dei luoghi in cui si abita, e dunque di esercitare le prerogative della vita privata e familiare (vedi per tutte sentenza Lopez Ostra c. Spagna 9.12.1994); nel caso di specie, invece, la Corte ha ritenuto integrata la violazione dell’art. 2, tenuto conto che l’illegale attività di inquinamento ambientale aveva integrato un rischio per la vita umana “sufficiently serious, genuine and ascertainable” e “imminent”, rischio conosciuto dalle autorità nazionali quantomeno a far tempo dai primi anni ’90, senza necessità di dimostrare i nessi di causalità individuale tra l’esposizione e le singole patologie.

 Un elemento di novità della sentenza Canavacciuolo risiede proprio nel valore assegnato alle evidenze scientifiche di tipo epidemiologico; mentre in precedenza l’aumento di patologie correlabili all’inquinamento ambientale veniva inquadrato nell’ottica della compromissione di interessi riconducibili al diritto al rispetto della vita privata ex art. 8 Cedu (così come ancora affermato nella sentenza Cordella e altri c. Italia del 24.01.2019, relativa ai residenti nei pressi dell’Ilva di Taranto), per la prima volta lo stesso tipo di evidenza scientifica viene associato ad una compromissione del diritto alla vita (garantito dall’art. 2 Cedu), come traspare in maniera evidente nel passaggio in cui la Corte respinge l’argomento del Governo secondo cui il caso avrebbe dovuto essere ricondotto all’art. 8 in virtù della multifattorialità delle patologie di cui si registra l’incremento nella Terra dei Fuochi e dunque dell’impossibilità di dimostrare i nessi di causalità individuale. 

Le inerzie censurate dalla Corte Edu nella sentenza in commento vanno però oltre la specifica tutela ambientale e sanitaria offerta agli abitanti di quel territorio, andando a coinvolgere il sistema normativo penale ambientale italiano, ritenuto inadeguato a fronteggiare il fenomeno, sia in termini di prevenzione che di repressione, almeno fino alla promulgazione della Legge n. 68 nel 2015, che ha introdotto il Titolo VI-bis del codice penale (“Delitti contro l’ambiente”: articoli da 452-bis a 452-quaterdecies c.p.).

La conclusione cui sono pervenuti i giudici di Strasburgo potrebbe avere conseguenze anche per il diritto penale interno: è proprio dalla tutela del diritto alla vita che la Corte Edu fa discendere i più incisivi obblighi di incriminazione, relative sia a condotte dolose che colpose, in capo agli Stati aderenti alla Convenzione. 

Come è stato affermato, nel nostro codice penale, così come riformato nel 2015, sussiste una norma che può offrire per il futuro una risposta più coerente con il disvalore di fatti che, oltre a gravi compromissioni ambientali, cagionino, quale effetto collaterale delle stesse, eventi lesivi per la vita e la salute misurabili in termini epidemiologici: si tratta della fattispecie di disastro ambientale ‘sanitario’ (art. 452 quater, n. 3), che, per il riferimento agli “effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte al pericolo” come elemento costitutivo dell’offesa alla pubblica incolumità, potrebbe acquistare nuova luce “mediante un’interpretazione orientata all’art. 2 Cedu, come da ultimo letto dalla Corte nella sentenza in esame” (S. Zirulia, cit.).

Il concetto di “offesa alla pubblica incolumità” previsto da tale fattispecie potrebbe trovare un più saldo termine di riferimento rappresentato proprio dal ‘diritto alla vita’ protetto dalla Cedu; d’altro canto si tratterebbe di un approccio funzionale a garantire un’efficace tutela penale dalle più gravi forme di aggressione alla salute pubblica mediante inquinamento ambientale, evitando le forzature alle quali è ricorsa in passato la giurisprudenza italiana nell’avvalersi dei reati contro la persona o l’incolumità pubblica, con particolare riferimento alla figura del disastro innominato ex art. 434 c.p.

In materia di inquinamento ambientale le Corti sovranazionali sono intervenute a più riprese nei confronti dell’Italia (oltre a quelle già richiamate pronunciate dalla Corte Edu, si pensi alle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nel 2012, 2020 e 2022 per il mancato rispetto dei limiti di concentrazione nell’aria degli inquinanti PM 10 e biossido di azoto in numerosi centri urbani italiani, concentrati essenzialmente nella Pianura Padana), ma le risposte adottate dalle autorità interne continuano ad essere del tutto carenti.